La generazione “in attesa di ricevere” ormai viaggia verso la sessantina e forse, cinicamente, è un po’ stufa di attendere. Con o senza la loro quota di ricchezza, la maggior parte del loro percorso professionale, l’hanno compiuta. Forse ci sono riusciti “da soli”, senza aiuti, o forse hanno realizzato meno di quel che avrebbero voluto (le eredità spesso sono il canale che finanzia le idee ed i progetti imprenditoriali della generazione più giovane).
Questo stallo nella trasmissione, avviene in un contesto in cui la fascia di popolazione che dunque dovrebbe essere la più attiva nel mondo lavorativo, ha una condizione frammentata ed un reddito prodotto modesto. I genitori sono invece i detentori del patrimonio, costruito nei decenni precedenti (con stili di vita e di consumo profondamente differenti tra le 2 generazioni) e tendenzialmente ne mantengono il possesso proprio per l’allungamento dell’aspettativa di vita.
Un tema che ho riscontrato nella mia attività e che rallenta il trasferimento delle risorse, è la scarsa fiducia che spesso la generazione dei padri ha verso i figli. Non si condividono gli stili di vita, le scelte professionali e a volte anche quelle familiari. Ci si scontra sui metodi, sulle ambizioni, sui risultati.
Non si ritengono i figli sufficientemente maturi per poter prendere in carico la gestione del patrimonio familiare, figuriamoci le redini dell’Azienda.
Non sto generalizzando, non è così ovunque, ma sono fotografie di contesti familiari “ingessati”, sempre più frequenti e che rischiano di sfociare in tensioni difficili da controllare.
Forse, se svincoliamo il trasferimento di ricchezza dal concetto di successione e la pensiamo “in anticipo” pianificandola correttamente, ritorniamo al suo senso più alto, ossia quello del dono di un genitore verso i propri figli.
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